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Livia Tonin

Intervista con Livia Tonin:

Ho avuto il grande piacere di parlare con Livia Tonin a casa sua il 17 marzo 2016. Livia Tonin è una vicina di casa di mia sorella con cui ho fatto due chiacchiere un paio di volte nel corso degli ultimi anni. Prima di questa intervista, non sapevo nulla della sua storia personale, a parte che è un’immigrata italiana e che vive in Canada da molti decenni.

Mentre mangiavamo della torta deliziosa e bevevamo del caffè al tavolo della sua cucina, ho ascoltato la storia meravigliosa di Livia, che abbracciò la vita a Casacorba, suo paese natale, durante la Seconda guerra mondiale, per poi imbarcarsi in un lungo viaggio da Genova a Halifax, sposarsi e creare una famiglia nel suo nuovo paese. Sono rimasta affascinata dai molti dettagli personali riguardanti la sua vita, che affiorano a livello orale, ma non sono presenti nei documenti storici. L’esperienza che lei ha vissuto è inestimabile.

Per cominciare, ho chiesto che cosa portò Livia in Canada inizialmente. Sono venuta così a sapere che il suo fidanzato era arrivato qui due anni prima di lei e poi l'aveva invitata a raggiungerlo a Guelph nel 1953; questo significa che lei ha trascorso sessantadue anni qui.

Livia Tonin viene da Casacorba, un paesino vicino a Venezia. Viveva in un appartamento di due stanze con la sua famiglia di diciotto persone: la madre, il padre, otto figli e gli zii con sei figli. Tutti dormivano insieme in quattro ampi letti e sul tetto. Lavoravano tutti in un allevamento e avevano una mucca, col cui latte sua madre era solita fare il burro e la ricotta. Durante la Seconda guerra mondiale, le cose erano particolarmente difficili e Livia ricorda di aver ricevuto buoni pasto per il pane e il sale acquistati al mercato nero. Anche se erano molto spaventati per le bombe sganciate su Milano, Venezia e Padova, la sua famiglia è stata fortunata perché nessuno dei ragazzi aveva l’età per entrare nell'esercito. A Livia piaceva lavorare fuori casa come baby-sitter o per aiutare le persone con delle faccende in giro per la città. Anche se lei veniva pagata molto poco, le piaceva passare del tempo fuori casa perché era molto affollato lì dentro. Livia ricorda anche la fame costante e scherza riguardo al fatto che, se avesse mangiato nel modo in cui fanno i bambini qui, sicuramente sarebbe diventata più alta. La guerra finì quando Livia aveva quindici anni: si traferì Venezia e passò due anni a Milano di servizio alle persone ricche. A circa sedici anni, si fidanzò con Gino, un ragazzo di Casacorba con cui era cresciuta. Lui aveva dei parenti in Canada e nel 1951 vi emigrò dall’Italia.

Gino diede a Livia un anello di fidanzamento che lei apprezzò molto e di cui si prese molta cura. Durante il suo viaggio dall'Italia a Canada, Lidia ha raccontato di aver lasciato accidentalmente l'anello accanto al lavandino del bagno della nave. Appena si rese conto che non c'era più, in preda al panico, corse indietro ma, non trovandolo, fu rassicurata dalla persona responsabile che le disse che, nel caso in cui fosse stato ritrovato, sarebbe tornato a lei. Naturalmente non lo vide mai più. Quando arrivò a Guelph e lo disse a Gino, lui rispose che non importava, ciò che era importante era il fatto che lei era arrivata. Il suo viaggio faticoso durò undici giorni: nove in nave da Genova a Halifax e altri due in treno da Halifax a Guelph. Il treno era lento e Livia ha detto che lei e altre due donne con cui viaggiava erano estremamente stanche. Quelle due ragazze venivano dalla sua stessa regione e stavano pere sposarsi, una a Niagara Falls e l’altra a Hamilton. Durante il viaggio, Livia non aveva portato molto con sé, solo una valigia con pochi vestiti, un paio di asciugamani e un orologio sveglia. Una volta arrivata a Guelph, Livia ha detto di non aver avuto nessun problema. Aveva pianificato di sposare Gino un mese dopo il suo arrivo. Fu accolta da amici e parenti che organizzarono la festa di fidanzamento e le regalarono una tazza e un piattino. Quasi tutti quelli con cui interagiva nella sua famiglia e nel quartiere (The Ward) parlavano italiano, quindi la lingua non era un ostacolo. Livia ha detto che alcuni immigrati piangevano e avevano nostalgia di casa, ma lei non ne aveva affatto. Il Canada era un paradiso per lei e non rimpiangeva mai di aver lasciato l'Italia o la sua famiglia.

Livia ricorda con affetto la costruzione della Chiesa del Sacro Cuore qui a Guelph e di come giocava regolarmente a bocce e a carte all’Italian Canadian Club.  Alla fine della nostra intervista ho fatto delle foto del dono che ricevette, la tazza e il piattino, e anche della vecchia sveglia che lei aveva portato con sé in valigia. I figli di Livia sono diventati grandi ormai: qua sopra sono visibili immagini di loro, dei suoi nipoti, e anche foto in bianco e nero del suo matrimonio e dei suoi parenti. Sono rimasta veramente colpita dalla sua storia. Il mondo da cui proveniva era così diverso da quello a cui è poi immigrata. Immagino il coraggio che ci è voluto per salire su quella nave a Genova, spinta dal desiderio d’iniziare una nuova vita. Lei, come tanti altri, ha sopportato così tanto con grazia e coraggio e le sono molto grata per aver condiviso con me le sue riflessioni.

Queste storie non dovrebbero mai andare perse, ma devono essere apprezzate ed entrare a far parte della nostra comprensione collettiva della storia dell’immigrazione italiana in Canada.

Livia vive ancora nella stessa casa che comprò nel 1956 con Gino e con orgoglio dice che, dato che aveva risparmiato molto, non aveva avuto bisogno di chiedere un prestito. Dopo aver finito i nostri caffè, ci siamo lasciate con affetto: ha detto che spera che io viva tanto a lungo quanto lei - non riesco nemmeno ad immaginarmelo! È stato interessante fare l'intervista e trascriverla. Ascoltando la registrazione più volte, ho potuto comprendere meglio la storia di Livia e apprezzarne i minuziosi dettagli. Mi sono chiesta se debba includere gli errori grammaticali che caratterizzano il parlato. Alla fine, ho deciso di essere il più fedele possibile a ciò che è stato detto e di non modificare molto. Ho cambiato la punteggiatura e la struttura, ma, per quanto fosse possibile, sono stata fedele alla versione di Livia. 

Per quanto riguarda la trascrizione, inizialmente pensavo che sarebbe stato un lavoro noioso, dovendo ascoltare più volte la stessa intervista, ma, con mia grande sorpresa, l’ho trovato molto interessante e mi è piaciuto molto. Nonostante dovessi trascrivere solo due pagine come estratto dell'intervista, ho voluto che il mio contributo riflettesse il più possibile la nostra conversazione e la storia che Livia ha condiviso con me, e ho quindi trascritto tutta la mezz’ora di conversazione. La storia della sua infanzia durante la guerra e della perdita del suo anello a bordo della nave sono dei piccoli tesori.